giovedì 18 marzo 2010

Senza paura - Buddismo e società n. 139 marzo-aprile 2010


Ogni persona è un universo. C'è di tutto: luci, maree, terremoti, sorrisi. C'è il miracolo degli squarci che s'aprono all'orizzonte, ci sono miliardi di orizzonti, la carezza degli incontri e grandini di rabbie. C'è oscurità e saggezza, amore e offesa, la fame e la grazia. C'è la mente che può danzare come le nuvole nel cielo o come fiamme, la forza di una convinzione e la fragilità dei corpi.
«In definitiva - scrive Nichiren - tutti i fenomeni, fino all'ultimo granello di polvere, sono contenuti nella nostra vita; le nove montagne e gli otto mari sono racchiusi nel nostro corpo; il sole, la luna e le miriadi di stelle si trovano nella nostra vita. Tuttavia noi siamo come il cieco che non vede le immagini riflesse in uno specchio o come il neonato che non teme l'acqua e il fuoco» (Gli inviati mongoli, RSND, 1, 561).
Anche se ce ne dimentichiamo, anche se non siamo capaci di vederlo sempre, ognuno di noi è degno di rispetto. Perché è un universo. Stessa origine, stessa pasta, stessa possibilità infinita.
I giorni però non sono sempre limpidi come un pensiero limpido o belli come parole belle. A volte capita che qualcuno ferisca la mia debolezza, la mia sacralità. Non so perché lo fa, ma accade. Accade di non sentirsi capiti, compresi, accettati, accade di vedere cose che non si vorrebbero vedere, ascoltare parole che non si vorrebbe ascoltare. Non so perché: perché pensi così male, o giudichi tanto, o mi colpisci nei punti che danno più dolore. Né perché ti ostini a non vedere la mia bellezza, la mia generosità, la mia ragione.
È un dolore preciso quello che acceca in ogni conflitto, litigio, alzata di voce. Lo conoscono tutti, perché in ogni universo c'è anche quel dolore, quella chiusura, quel taglio. Il male esiste, quello che mi provocano gli altri, quello che provoco io magari senza accorgermene, e spesso non si sa che farne. Diventa prepotentemente il centro delle cose. Riduce tutto, stelle, maree e sorrisi a un grumo incomposto che pesa. Pesa e fa male. Quando mio figlio mi scarica addosso la sua rabbia, quando una compagna di fede mi opprime di giudizi, quando una persona mi condanna, pensa che sto sbagliando e io no, non lo penso proprio. Quando vedo nell'altro solo la sua arroganza, il suo torto, le sue bugie e i suoi errori.
Si aprono ferite, incrinature di dubbi e difese. Separazioni. Ed è difficile, davvero difficile rispettare chi mi appare come una minaccia al bene, al senso di giustizia, al mio desiderio di essere felice.
Non ci sono ricette facili per risolvere i conflitti. Schemi comportamentali fissi da seguire, strategie infallibili, ragioni assolute. C'è un essere umano di fronte a me che forse soffre e che sicuramente mi fa soffrire. C'è una relazione da cui non traggo gioia, ma che mi provoca dolore. Che farne? Della guerra che si scatena nelle cellule e nei pensieri? Forse c'è da prendere in braccio quel male e provare a farne qualcosa, ma come? Come, se non so da dove proviene e perché, se non ci vedo bagliori, opportunità di progredire e creare qualcosa di bello, di vero, di sano?
Rispettare la vita di ogni persona è una pratica severa, cercare la sua Buddità, crederci con tutto il cuore. Esercitarsi a vedere la sua bellezza e nominarla. È una pratica che richiede fede. Fede che nella sua mente, nella sua vita, nella sua storia ci sia una luce potente, vasta, meravigliosa. Al di là dei limiti presenti, delle brutture che vedo, dei difetti o degli errori. Al di là dei miei dubbi sulle sue potenzialità. Se è vero che siamo stessa pasta, stessa origine, stessa possibilità infinita.
Ogni vita è perfetta e meravigliosa, ogni vita può trasformarsi e trasformare tutto in un istante, è questa la visione che da Shakyamuni, da Nichiren, da Toda ci arriva intatta e rivoluzionaria. E quando lo scordo, quando non riesco a vedere quella meraviglia, tutto diventa spoglio e privo di valore. Tutto viene limitato dalla mia mente che non ce la fa proprio a credere nella Buddità di chi mi sta di fronte. Non crede che quella persona potrà farcela, capire, amare. Mi concentro sulla sua stupidità, la sua collera, la sua violenza, enumero le sue oscurità senza capire l'utilità della sua presenza, mi riempio di tristezza, a volte di rassegnazione. Ed è questa cecità, io credo, a farci arrendevoli, meschini, a portarci a naufragare nel pessimismo che non vede possibilità di luce per questa persona, questo tempo, questo paese, questo mondo o questo governo. Che ci fa rimanere rintanati nel lamento, nel gusto di sentirci vittime magari intelligenti ma impotenti. Una cecità che rende impossibili conflitti sani, sane discussioni.
Se invece ci provo, se provo a pregare perché non so cos'altro fare, se riesco ad andare oltre la scorza dei sentimenti che mi annebbiano la vita di rancore, se buco quella coltre densa con la fede e la sento dentro la bellezza di mio figlio, della mia amica, di quella persona che non so perché mi provoca dolore, se mi concentro e imparo a percepire la forza e la preziosità della sua vita, allora, di solito, è la gioia ad accompagnarmi. È la serenità. E non si ferma alle circostanze, non se ne lascia influenzare. Ho fiducia che tutto possa cambiare. E faccio Daimoku per assaporare meglio quella fiducia, per liberare la mia vita dalla paura di quello che puoi fare o farmi, dalla facilità che ho di concentrarmi sulle mostruosità degli altri.

Non è tapparsi gli occhi

Non è un'illusione, non è tapparsi gli occhi di fronte ai pericoli o al male. Nichiren non lo fece. Sapeva quante persone avrebbe avuto contro se avesse osato dire l'infinita potenzialità della vita. Non assecondò il governo, il potere, non seguì il desiderio semplice ma pericoloso di essere amati e onorati a ogni costo. Scelse la via più difficile non smettendo mai di credere che prima o poi gli esseri umani avrebbero potuto trasformare ogni inferno in una pura terra tranquilla. Senza alzare nessuna arma se non quella della parola e del coraggio. Perché rispettare profondamente ogni singola vita non vuol dire evitare o temere i conflitti, ma agirli fino in fondo, con l'animo pulito. Senza tacere, sottostare a compromessi, senza evitare gli ostacoli o il giudizio degli altri, senza l'illusione o la pretesa che tutti ci vogliano bene. Rispettarti significa dire quello che penso con la fiducia che tu possa ascoltarmi, spostarti o spostarmi dalla fissità che ci fa ostili. Se non adesso, poi. Se non accade subito, accadrà. Significa non arrendersi. Non lasciare che questa fiducia si spenga. Che si spenga la speranza.
Il male - quello che mi fai, quello che incontro - se c'è, e c'è, posso guardarlo con chiarezza, toccarlo, abbracciarlo e andare oltre. Non lasciare che mi ricatti, mi fermi, tolga gioia o faccia terrore. Fa parte di me quel male, è nella mia vita come nella tua. Lo combatto non permettendo che divenga il centro delle mie giornate, che offuschi con vendette, parole cattive o cattive emozioni, la mia voglia di vivere e avere fiducia negli altri. Lo combatto cercando ogni istante di pulirmi dalla vigliaccheria che mi fa scappare, dall'illusione di essere superiore o inferiore, dall'arroganza di pensare che si giochi tutto sul misero piano del torto o della ragione. C'è sempre in gioco molto di più. Di fronte al male che fai o che sento, di fronte a ogni conflitto, c'è in gioco la mia fede che può crescere o impantanarsi e regredire, c'è in gioco la possibilità che ho di rivoluzionare me stessa e il mondo.

A volte il male può essere un maestro

I conflitti non sono di per sé un male, nulla lo è perché abbiamo sempre la possibilità di trasformare. Penso a Shakyamuni, contro cui Devadatta si rivoltò attentando più volte alla sua vita. A Nichiren perseguitato da Hei no Saemon, condannato a morte e osteggiato per tutta 'esistenza. A Makiguchi chiuso in carcere per salvaguardare la purezza degli insegnamenti buddisti nel Giappone del secolo scorso. Non si fecero fermare dalla paura, dal dubbio di non potercela fare, non permisero che gli accadimenti generassero nel loro cuore sentimenti ostili di odio, rabbia o rancore. Continuarono a lottare contro il male che si stava manifestando con la stessa compassione verso tutti gli esseri viventi, lo stesso amore. E a volte mi sembra di intuire che tanta della loro forza derivasse proprio dalla fiducia infinita che avevano nelle potenzialità dell'essere umano. Tanta di quella fiducia da esserne protetti, salvati.
«La condizione vitale raggiunta dal Budda è tale che nulla e nessuno può fargli del male», scrive Ikeda nel secondo volume de La saggezza del Sutra del Loto, dove parla a lungo di come Shakyamuni lottò con Devadatta, senza armi, offese o desiderio di supremazia, senza temerlo il male.
«Il potere della mistica Legge permette di cambiare i cattivi amici in buoni amici: l'ichinen della fede cambia le sofferenze in gioia, in buone occasioni per il nostro progresso. Nichiren Daishonin afferma: "Devadatta provò più di ogni altro la validità degli insegnamenti di Shakyamuni. Anche in questa epoca non sono gli amici, bensì i nemici quelli che aiutano una persona a progredire". Per conseguire la Buddità dobbiamo sconfiggere il nostro male interno e il mezzo pratico per farlo è combattere e sconfiggere il male esterno. Il male, visto come una funzione per purificare la nostra vita e conseguire la Buddità, può essere considerato un maestro» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 2, p. 162). È proprio perché Shakyamuni predice a Devadatta che raggiungerà l'Illuminazione che il Sutra del Loto può dirsi un insegnamento universale, perché è in grado di condurre tutti all'Illuminazione, compresi gli icchantika, comprese le persone malvagie se abbracciano la fede.
Anche una persona cattiva è un universo perfetto dove risiede la Buddità, anche tu che mi offendi o mi fai soffrire. Così come un Budda ha dentro di sé il male, lo stesso male che conosco e conosci tu. Perché è un essere umano. Semplicemente un meraviglioso essere umano che riesce a fare qualcosa di prezioso anche del male, a trasformarlo. Magari per scoprire il proprio coraggio, per fare i conti coi sentimenti negativi che nascono, per svelare il potere della fede e raccontare agli altri, a tutti gli altri, quanto la pratica del rispetto sia gioia che svela e ci svela la ricchezza della vita.

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